Il nome e il territorio
Pare che il nome derivi dal fosso della Vaccariccia, con evidente allusione alle mandrie di bovini che vi stazionavano durante il pascolo. Da Vaccariccia, per alterazione semantica, si passa a Vaccarese e quindi a Maccarese.
Solo recentemente è stata avanzata un’altra ipotesi che fa derivare il termine dal latino vacuum, concavo: con riferimento alla morfologia del territorio, una depressione a forma di catino dove le acque ristagnavano, favorendo la proliferazione della zanzara anofele, veicolo di diffusione della malaria.
In pratica, una zona umida, caratterizzata dalla presenza di due stagni, il maggiore dei quali ricopriva tutta la zona di Camposalino, mentre l’altro era localizzato nella zona delle Pagliete, a poca distanza dal Castello.
Scomparsa l’antica Fregenae, dal mare fino alle colline che fanno da cornice alla valle dell’Arrone, il territorio forma una vastissima tenuta che a sud si estende fino al fosso Galeria e a nord fino al torrente Tre Denari. Trattandosi di una zona umida, lo sfruttamento era basato principalmente sulla caccia e sulla pesca. Mentre sull’asciutto veniva praticato l’allevamento del bestiame allo stato brado.
Da feudo della nobiltà romana alla bonifica
Nella veste di proprietari si alternarono enti religiosi e famiglie della nobiltà romana. Ai Mattei, che succedettero agli Anguillara e agli Alessandrini, si deve il restauro del Castello (1569), che già esisteva nel 1300 sotto la denominazione di Villa san Giorgio, e la costruzione della torre costiera di Primavera (1574). Ultimi a reggere le sorti della tenuta, prima della bonifica integrale, furono i Rospigliosi a cui la portò in dote una Pallavicini, che l’avevano rilevata dai Mattei, ormai pieni di debiti.
Si arriva così al 1925, quando inizia la bonifica integrale. A promuoverla è una società formata da investitori finanziari. Questi, invogliati dalle provvidenze messe a disposizione dallo stato, erano partiti con il proposito di svolgere un ruolo di intermediazione in tutta la vicenda: bonificare la zona, mettere in produzione i terreni, frazionare la tenuta in poderi e passare alla vendita degli stessi.
Al dunque, però, il progetto, così come era stato concepito, non potè andare in porto in quanto i prezzi delle proprietà fondiarie e dei prodotti agricoli nel frattempo erano crollati. E la terra agli inizi degli anni Trenta non aveva più la caratteristica di bene rifugio.
Dall’Iri a Benetton
Quegli uomini si trovarono così a governare un’azienda che, date le dimensioni, aveva costi di gestione molto elevati. E dovettero appoggiarsi all’Iri.
Intanto erano approdati a Maccarese per coltivare i campi, impiantare i vigneti e custodire il bestiame da latte numerosi coloni provenienti dal mantovano e soprattutto dal Veneto.
Imparentata com’era con lo Stato, durante il regime, la Maccarese diventa la vetrina dell’agricoltura italiana. Si susseguono le visite di delegazioni, anche dall’estero.
Ma i bilanci, dopo gli anni Cinquanta, cominciano a segnare rosso. Manodopera in esubero, qualche intemperanza sindacale di troppo e scelte dirigenziali sbagliate sono all’origine di una lunga crisi che si protrae fino al 1998, quando l’azienda viene privatizzata e passa nelle mani della Edizione Holding dei fratelli Benetton. La cifra è di 94 miliardi e comprende non solo gli oltre 3 mila ettari di terreno agricolo ma anche diversi edifici, tra i quali spicca il Castello.
La storia di Maccarese, è raccontata nei particolari dallo stesso autore nel libro FREGENE UNA STORIA VERA, luglio 2010.